L’elevato uso di antibiotici in pazienti Covid-19 ricoverati in ospedale e l’interruzione dei protocolli di stewardship antibiotica potrebbero avere causato un aumento della resistenza
Sempre più diffuso il problema dei batteri resistenti agli antibiotici, tanto da rappresentare una vera e propria emergenza sanitaria. La causa è nell’utilizzo massivo e scorretto di questi medicinali. Tutto questo e molto altro è l‘antibiotico resistenza: un fenomeno che in Italia era già un problema ma che a partire dai primi mesi in cui è comparso il virus Sars-Cov 2 è diventato ancora più importante.
L’Italia infatti continua ad essere tra i paesi con il maggior consumo di antibiotici: nel 2019, il 40% della popolazione ha ricevuto almeno una prescrizione a cui bisogna aggiungere una percentuale di autoprescrizioni legate al tipico fai da te di chi decide autonomamente di prendere un antibiotico per una cistite o un improvviso mal di denti. Una ‘maglia nera’ che Covid-19 ha peggiorato ancora di più perché durante la pandemia la diffusione di batteri resistenti agli antibiotici è aumentata.
Si stima che in circa il 15% dei pazienti Covid finiti in terapia intensiva fosse presente una qualche sovra-infezione batterica, in molti casi di tipo resistente e che, in misura maggiore o minore a seconda dei casi, abbia contribuito al decesso del paziente.
Come conferma anche il Rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità, l’elevato uso di antibiotici in pazienti Covid-19 ricoverati in ospedale, come l’azitromicina, l’eventuale interruzione dei protocolli di stewardship antibiotica (tutti quegli interventi cioè che mirano a promuovere l’uso ottimale degli antibiotici) e di screening per microrganismi multiresistenti nel periodo più intenso dell’emergenza, potrebbero avere causato un aumento della resistenza.
L’antibiotico resistenza è una minaccia che investe non soltanto l’uomo ma anche l’ambiente e le altre specie viventi. Quando i batteri “si allenano” a resistere agli antibiotici la prima conseguenza che si nota è quella sulla salute umana: le cure diventano difficili, senza quell’effetto veloce che contraddistingue gli antibiotici, il rischio di complicanze aumenta e così quello di conseguenze gravi permanenti o di morte.
La resistenza antimicrobica (Amr) è stata dichiarata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come una delle prime dieci minacce globali per la salute pubblica mondiale. Secondo i dati dell’ultimo Rapporto meridiano Sanità realizzato da The European House-Ambrosetti, l’antimicrobico resistenza causa 33.000 decessi all’anno che, in assenza di azioni concrete per correre ai ripari, potrebbero arrivare a 10 milioni nel 2050, vale a dire più dei decessi dovuti a cancro, diabete e incidenti stradali. In Italia, ogni anno, le infezioni causate da batteri antibiotico resistenti costano la vita a circa 11mila persone e questa problematica risulta in continua crescita sostanzialmente per un uso inappropriato di questi farmaci.
“L’Italia ha delle problematiche di resistenza maggiori rispetto ad altri paesi europei“, sottolinea Maurizio Sanguinetti, presidente della European Society of Clinical Microbiology and Infectious Diseases e direttore di Microbiologia alla Fondazione Universitaria Policlinico Agostino Gemelli. “Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Infectious Disease, il nostro paese è primo come indice di mortalità causata dall’antimicrobico resistenza“.
Non solo: in Italia, ogni anno, si verificano circa 450-700 mila infezioni in pazienti ricoverati in strutture di assistenza sanitaria e socio-sanitaria, che interessano prevalentemente individui di età superiore ai 65 anni (63,7% del totale), più fragili e più esposti al fenomeno delle resistenze, e che sono causa diretta del decesso del paziente nell’1% dei casi.
Il fenomeno dell’antimicrobico resistenza è al centro di molti programmi istituzionali a cominciare dal Piano Nazionale di Contrasto dell’Antimicrobico-Resistenza (Pncar). “È una raccolta di buone intenzioni, peccato che non sia finanziato perché prevede che ciascuna struttura si procuri i fondi, il che è ridicolo”, fa notare Sanguinetti aggiungendo: “Serve una presa di coscienza del problema e finanziamenti. È necessario prevedere degli obiettivi ospedalieri fissati a livello istituzionale e centrale, ma che siano misurati nei singoli ospedali“.
Il Pncar non è l’unico programma: “Anche il recente G7 e il G20 – spiega Daniela Bianco, responsabile area Healthcare, The European House – Ambrosetti – hanno ribadito l’emergenza e l’impegno in questa direzione. E poi c’è il Piano Nazionale Prevenzione 2020-2025 che prevede di rafforzare e migliorare le attività di sorveglianza delle malattie infettive prioritarie, con particolare attenzione alle Infezioni Correlate all’Assistenza“.