Alzheimer: i ricercatori dell’Università di Perugia compiono un passo avanti nella diagnosi precoce

7 Febbraio 2025
Alzheimer

La rilevazione delle forme di tau multi-fosforilate nel plasma potrebbe diventare un importante strumento per identificare precocemente la malattia, monitorarne la progressione e valutare l’efficacia delle terapie.

 

Un importante passo avanti nella ricerca sui biomarcatori per la malattia di Alzheimer è stato compiuto dalle ricercatrici e dai ricercatori delle sezioni di Neurologia e di Fisiologia e Biochimica del Dipartimento di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Perugia, coordinati dalla prof.ssa Lucilla Parnetti.

Lo studio, pubblicato nella rivista Nature Communications, ha riguardato lo sviluppo e la validazione di nuovi test biochimici capaci di diagnosticare precocemente la presenza della malattia di Alzheimer, grazie al rilevamento di un biomarcatore, la proteina “tau” in una forma modificata detta “tau multi-fosforilata”, su liquido cerebrospinale (CSF) e su sangue. Le ricercatrici e ricercatori Uni Pg hanno ipotizzato che le forme di tau fosforilate in più parti della molecola – multifosfo-tau – possano avere un valore diagnostico superiore rispetto alle forme fosforilate in un unico sito. Hanno quindi sviluppato una modalità di misurazione per rilevare tau fosforilata simultaneamente in due diverse parti della molecola – T181 e T231  e ai siti T217 e T231. I risultati ottenuti hanno mostrato che le forme multi fosforilate hanno un’elevata accuratezza diagnostica nel distinguere i pazienti affetti da malattia di Alzheimer dai soggetti di controllo, sia nel liquido cerebro spinale che nel plasma. Il risultato, inoltre, è particolarmente significativo per il plasma, dove ha dimostrato una prestazione diagnostica superiore rispetto alle forme di tau fosforilata in un unico sito ad oggi comunemente utilizzate.

Lo studio ha coinvolto due coorti di pazienti con malattia di Alzheimer in diversi stadi clinici, pazienti con altre malattie neurodegenerative che evolvono in demenza e un gruppo di controllo.

I ricercatori hanno osservato che i livelli di proteina tau multi-fosforilata erano significativamente elevati nei pazienti con malattia di Alzheimer rispetto ai controlli, sia nel CSF che nel plasma. Alla realizzazione della ricerca ha partecipato la dottoranda Anna Lidia Wojdała, vincitrice di una selezione internazionale per effettuare il proprio dottorato di ricerca presso la Sezione di Neurologia, Dipartimento di Medicina e Chirurgia dello Studium, nell’ambito del progetto europeo MIRIADE  – Multi-omics Interdisciplinary Research Integration to Address Dementia Diagnosis -, finanziato dall’Unione Europea nell’ambito del programma Marie Skłodowska-Curie, volto a sviluppare nuovi biomarcatori per migliorare la diagnosi delle malattie neurodegenerative che causano demenza.

“I risultati del nostro studio rappresentano un passo avanti fondamentale nella diagnosi precoce della malattia di Alzheimer, permettendoci di individuare dei nuovi biomarcatori di malattia molto accurati e affidabili anche quando misurati su un campione di sangue” – dichiara la prof.ssa Lucilla Parnetti, responsabile della Sezione di Neurologia e del Laboratorio di Neurochimica clinica presso l’Università degli Studi di Perugia. La rilevazione delle forme di tau multi-fosforilate nel plasma potrebbe diventare un importante strumento per identificare precocemente la malattia, monitorarne la progressione e valutare l’efficacia delle terapie”.

La malattia di Alzheimer è la più comune malattia neurodegenerativa dell’età adulta e avanzata e rappresenta la principale causa di demenza. I meccanismi alla base della malattia sono caratterizzati dall’accumulo nel cervello di depositi patologici di proteine, in particolare β-amiloide e proteina tau. La diagnosi precoce è fondamentale per poter mettere tempestivamente in atto il piano di cure più adeguato: i più recenti trattamenti capaci di bloccare i meccanismi patogenetici della malattia, infatti, saranno accessibili e efficaci solo se la diagnosi, basata sulla positività dei biomarcatori, è precoce.

Le collaborazioni internazionali – La ricerca è stata realizzata grazie a una collaborazione internazionale tra l’Università degli Studi di Perugia, l’Università di Amsterdam – UMC e la Quanterix Corp, l’azienda statunitense presso la quale la dott.ssa Wojdała ha condotto alcuni degli esperimenti chiave. Tra gli altri autori dello studio figurano il dott. Giovanni Bellomo, il dott. Lorenzo Gaetani, il prof. Davide Chiasserini – coordinatore delle attività in laboratorio della dott.ssa Wojdala e dello sviluppo degli immunodosaggi – e la prof.ssa Lucilla Parnetti dell’Ateneo Perugino, nonché la prof.ssa Charlotte Teunissen, responsabile del Laboratorio di Neurochimica presso l’Amsterdam University Medical Center – UMC, la quale ha contribuito alla validazione clinica dei risultati.

fonte: Università degli Studi di Perugia

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