Le nanoparticelle smart ed eco-friendly per curare le malattie autoimmuni del fegato vincono i 100.000 euro del primo premio dell’Open Accelerator di Zambon Group
Immaginate delle nanoparticelle smart e green e caricatele con un farmaco: lo porteranno dove serve, ne rilasceranno quanto serve, e non avranno effetti collaterali, perché sono biodegradabili e biocompatibili e non hanno residui.
Sono le nanoparticelle che serviranno a curare le malattie autoimmuni del fegato (ad esempio, la epatite autoimmune e la colangite biliare primitiva) e hanno vinto la seconda edizione di Open Accelerator, il fast-track accelerator program di Zambon Group.
I due scienziati che hanno avuto l’idea e l’hanno realizzata hanno dichiarato: “La nostra innovazione potrà cambiare la vita di tutte le persone che soffrono di malattie autoimmuni ed infiammatorie del fegato e che con le cure di oggi sono costrette ad assumere alti dosaggi di farmaci per riuscire a controllare la malattia, ma a costo di molti ed importanti effetti collaterali”.
Il progetto si inserisce in una collaborazione pluriennale tra Margherita Morpurgo (chimico-farmaceutica esperta di drug delivery dell’Università di Padova), Pietro Invernizzi (direttore dell’Unità operativa complessa di gastroenterologia della ASST di Monza, esperto internazionale di patologie autoimmuni del fegato dell’Università Milano-Bicocca) e il team del Mario Negri di Milano coordinato dal nanobiologo Paolo Bigini. Nel team padovano che ha contribuito al successo, ci sono anche Elisabetta Casarin per la parte tecnologica e Chiara Tamburini, Elena Pigato, Davide Merlin e Paolo Gubitta per la parte manageriale.
Il team lombardo-veneto è stato scelto tra i 17 gruppi italiani e stranieri che per tutti i fine settimana da metà settembre a metà dicembre hanno partecipato al programma di accelerazione, svoltosi a Bresso, tenuto in lingua inglese, anche con docenti internazionali e con il coordinamento di Deloitte.
Margherita Morpurgo, tra i leader del team, ha dichiarato: “Fonderemo un’impresa e useremo queste risorse per approfondire gli studi in vivo e arrivare a dimostrare l’efficacia in più modelli di malattia. Serviranno alcuni anni e ai 100.000 euro del premio dovranno aggiungersi altri finanziamenti significativi. La nostra tecnologia migliorerà la vita dei pazienti e anche il bilancio della spesa sanitaria”.
Pietro Invernizzi, il clinico del gruppo, ha aggiunto: “Oltre allo sviluppo in laboratorio utilizzando modelli di malattie autoimmuni del fegato cui lavoriamo da anni, non vedo l’ora di poter iniziare a provare questo nuovo approccio terapeutico nei pazienti. Vengono da noi all’Ospedale San Gerardo di Monza da tutta Italia cercando nuove e migliori terapie e purtroppo spesso non abbiamo molto da offrire”.
Nel team padovano Paolo Gubitta, vicedirettore del Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali, ha espresso il proprio pensiero: “Questo successo ci dice qualche cosa che va oltre l’innovazione tecnologica. Ci dice che la ricerca scientifica ‘non ha confini’ e che le collaborazioni interuniversitarie sono indispensabili. Ci dice, in linea con la strategia del Rettore Rizzuto, che ‘la contaminazione interdisciplinare’ è la chiave del successo. E ci dice che bisogna dare opportunità alle giovani generazioni: Chiara Tamburini ed Elena Pigato sono ancora due 25enni laureande in Business Administration: ma nessuno se n’è accorto vedendole lavorare a questo progetto”.
Fonte Università degli Studi di Milano-Bicocca