La ricerca, a cui hanno collaborato 3 ricercatori del Dipartimento di Scienze Chimiche, della Vita e della Sostenibilità Ambientale, dimostra che gli effetti del riscaldamento climatico sono alla base dell’aumento di statura delle piante nella tundra artica e alpina negli ultimi 30 anni
È stato pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Nature l’articolo Plant functional trait change across a warming tundra biome del gruppo di ricerca in Geobotanica ed Ecologia Vegetale del Dipartimento di Scienze Chimiche, della Vita e della Sostenibilità Ambientale dell’Università di Parma, costituito da Marcello Tomaselli, Alessandro Petraglia e Michele Carbognani.
Il gruppo di studiosi conduce da oltre 10 anni esperimenti e monitoraggi nella tundra alpina al fine di rispondere ad attuali e importanti quesiti sugli effetti del climate change negli ambienti di alta quota.
L’articolo, che si basa su uno studio avviato da un core-team di ricercatori formatisi nell’ambito dello storico gruppo ITEX (International TUndra Experiment), la rete di ricerca internazionale che da oltre 30 anni effettua esperimenti su larga scala nei biomi freddi del nostro pianeta, ha analizzato la più ampia serie di dati disponibile sulle piante della tundra artica ed alpina. Questi dati, raccolti da 130 ricercatori di 25 paesi, sono costituiti da oltre 56.000 misure di tratti funzionali (tra i quali altezza delle piante, lunghezza delle foglie, contenuto di azoto) effettuate su circa 400 specie vegetali e da osservazioni sulla composizione delle comunità vegetali effettuate su 1520 plot permanenti in 117 siti di tundra situati nelle principali regioni artiche (Alaska, Canada, Groenlandia, Scandinavia, Siberia) e alpine (Alpi, Montagne Rocciose).
Le Alpi Italiane sono parte integrante dei risultati ottenuti, grazie al lavoro condotto da oltre 10 anni dal team di ricercatori dell’Università di Parma presso il Passo del Gavia, all’interno del Parco Nazionale dello Stelvio.
Fino ad oggi gli ambienti di tundra artica e alpina, i più freddi del nostro pianeta, sono stati il dominio di piante erbacee e arbusti di piccola taglia. A causa delle condizioni ambientali molto limitanti (freddo, pochi nutrienti, corta stagione vegetativa causata dalla lunga permanenza della neve) queste piante solitamente crescono a stretto contatto con il suolo e diventano alte solo pochi centimetri. L’aumento delle temperature globali, particolarmente accentuato in questi ambienti, sta influenzando la crescita delle piante e sta favorendo l’arrivo di nuove specie che sono capaci di una crescita maggiore. Gli effetti dell’aumento delle temperature si traducono in un incremento dell’altezza delle comunità vegetali di tundra che si è verificato negli ultimo 30 anni. Questa è la prima volta che viene condotto uno studio su scala globale per intercettare i meccanismi fondamentali di cui le piante sono protagoniste negli ecosistemi più freddi del pianeta.
I ricercatori hanno in primo luogo identificato il riscaldamento del clima come la causa dei cambiamenti osservati. Le temperature nell’Artico sono aumentate di circa 1 °C in estate e di 1,5 °C in inverno durante i tre decenni coperti dallo studio; sulle Alpi l’aumento di temperatura è ancora maggiore. Sono questi gli ambienti in cui gli effetti del cambiamento climatico sono più rilevanti e accentuati. Un’analisi dettagliata ha mostrato che non solo le singole piante diventano più alte con temperature più calde, ma anche che nuove specie più grandi si stanno diffondendo nella tundra. Queste specie arrivano da aree situate più a sud o da quote inferiori. In alcuni casi erano già presenti, ma solo in piccole popolazioni che faticavano a sopravvivere a causa delle condizioni ambientali molto limitanti. Questo insieme di fattori determina un aumento medio della statura delle comunità vegetali.
I ricercatori sottolineano che, se le piante più grandi continueranno a colonizzare la tundra, le comunità vegetali aumenteranno la loro altezza tra il 20 e il 60% entro la fine del secolo con probabili effetti sull’assorbimento di anidride carbonica, sulla durata della copertura nevosa e sul microclima del suolo, fattori di primaria importanza per le condizioni climatiche del nostro pianeta.
Lo studio ha inoltre evidenziato che altre caratteristiche fondamentali delle piante, come il contenuto in azoto e la dimensione delle foglie, non hanno mostrato cambiamenti analoghi. Questi tratti, infatti, sono profondamente influenzati, oltre che dalla temperatura, anche dall’umidità dei suoli. Mentre la maggior parte delle ricerche si sono finora concentrate sugli effetti dell’aumento delle temperature, questo studio ha dimostrato che l’umidità del suolo può svolgere un ruolo molto più importante nel modificare i tratti delle piante di quanto si pensasse in precedenza. I ricercatori concludono che la risposta delle comunità vegetali al riscaldamento climatico dipenderà dal fatto che la tundra diventi più umida o secca nel tempo. Al fine di prevedere come reagiranno le comunità vegetali della tundra è necessario tener conto delle alterazioni di temperatura, ma anche delle variazioni delle precipitazioni, della disponibilità idrica e della durata e quantità del manto nevoso. Considerando che i suoli degli ecosistemi di tundra, congelati per la maggior parte dell’anno, contengono circa un terzo del carbonio del suolo del mondo, la modificazione dei tratti funzionali delle specie vegetali potrebbe cambiare il modo in cui il carbonio viene immagazzinato in questi ecosistemi. Una delle vere sfide di questa ricerca è di iniziare a capire cosa sta succedendo nella scatola nera dei suoli della tundra e come le trasformazioni della vegetazione artica e alpina potranno influenzare la vita sul nostro pianeta.
L’occasione di approfondire queste tematiche e di verificare lo stato dell’arte di queste ricerche sarà offerta dal prossimo congresso annuale del gruppo ITEX che sarà organizzato dai ricercatori del gruppo di ricerca in Geobotanica ed Ecologia Vegetale del Dipartimento di Scienze Chimiche, della Vita e della Sostenibilità Ambientale, in programma presso l’Università di Parma nel settembre del 2019.
Fonte: Università di Parma