Studio internazionale pubblicato su Nature apre la strada a nuove terapie. IEO e Università Statale di Milano partner della ricerca, sostenuta anche da Fondazione AIRC e dal Ministero della Salute
La rivista scientifica Nature ha pubblicato gli importanti risultati del lavoro di un gruppo internazionale di ricercatori, fra cui Stefano Santaguida e Marica Ippolito dell’Istituto Europeo di Oncologia e dell’Università Statale di Milano. Il tema della scoperta riguarda il “tallone d’Achille” del cancro: una ben nota alterazione della struttura genetica delle cellule tumorali, la aneuploidia, che può essere un punto debole da utilizzare per colpire il tumore.
Allo studio, coordinato dal Dipartimento di Genetica Molecolare Umana dell’Università di Tel Aviv, hanno partecipato anche un progetto finanziato dal Ministero della Salute e uno sostenuto da Fondazione AIRC. Insieme a IEO e all’Università Statale di Milano, hanno partecipato gli istituti americani MIT, Harvard, Dana Farber, Università del Vermont, e il tedesco Kaiserlautern.
“Il nostro lavoro rappresenta una pietra miliare nella ricerca contro il cancro – dichiara Santaguida, group leader del Laboratorio di integrità genomica allo IEO e Docente di Biologia Molecolare all’Università Statale di Milano – L’oncologia molecolare ha individuato, tumore per tumore, numerosi geni coinvolti nella trasformazione neoplastica della cellula, utilizzabili come bersagli terapeutici. Noioggi abbiamo aperto una strada nuova e più ampia, perché abbiamo dimostrato che una caratteristica genetica delle cellule tumorali, l’aneuploidia, che si trova nel 90% dei tumori solidi e nel 75% di quelli ematologici, può essere di per sé un bersaglio. Non solo: abbiamo trovato delle molecole, gli inibitori del cosiddetto SAC (dall’inglese “spindle assembly checkpoint”), in grado di interferire con l’aneuploidia e di sfruttarla per mirare e colpire le cellule cancerose”.
L’aneuploidia è un cambiamento nel numero delle copie di cromosomi: tutte le cellule umane hanno, in condizioni normali, 46 cromosomi, mentre si sa che quelle tumorali ne hanno spesso di più o di meno, e risultano quindi con un patrimonio cromosomico (cariotipo) sbilanciato. Finora tuttavia questo importante segno distintivo del cancro non è mai stato sfruttato come bersaglio di cura, perché fino a poco tempo fa mancavano gli strumenti necessari per creare modelli in vitro di cellule aneuploidi.
“Per la prima volta qui allo IEO siamo riusciti a creare librerie di linee cellulari con cariotipi aneuploidi definiti – spiega Ippolito – Grazie a queste librerie abbiamo dimostrato un’alta dipendenza delle cellule aneuploidi dai geni coinvolti nel corretto funzionamento del SAC, il macchinario cellulare deputato alla divisione cellulare attraverso il quale ogni cellula genera due cellule figlie. Questa interazione tra aneuploidia e SAC ha una rilevanza clinica: inibendo SAC infatti le cellule aneuploidi muoiono. Si apre quindi la prospettiva concreta dell’utilizzo dei SAC inibitori come terapia anticancro”.
“Ora che abbiamo scoperto che l’aneuploidia ci indica un punto di vulnerabilità delle cellule tumorali – conclude Santaguida – stiamo studiando se promuova anche la resistenza alla chemioterapia. In questo caso potremmo avere un doppio utilizzo clinico di questo fondamentale segnale-spia dei tumori”.