Per la prima volta è stato dimostrato che uno strumento che stringiamo tra le mani viene trattato dal cervello come estensione del corpo. A dirlo è uno studio pubblicato su Current biology e condotto da un team di ricerca internazionale
Sensazioni tattili, come se fosse una parte del corpo. È quello che percepisce il cervello quando ha in mano uno strumento che viene sollecitato esternamente. A dirlo è lo studio Somatosensory cortex efficiently processes touch located beyond the body pubblicato su Current Biology.
Sedici persone hanno stretto tra le mani un bastone che veniva sottoposto a impatti esterni, e tutti i partecipanti sono riusciti a localizzare l’impatto con una precisione quasi perfetta, come se il tocco avvenisse sul braccio. Contemporaneamente i ricercatori, usando l’elettroencefalografia (EEG), hanno scoperto che la posizione dell’impatto sullo strumento veniva decodificata attraverso la dinamica neurale della corteccia somatosensoriale primaria e dalle regioni parietali posteriori. Le stesse che si attivano quando il contatto avviene direttamente sul corpo.
Lo studio, condotto da un team di ricerca internazionale cui ha partecipato anche il Dipartimento di Psicologia di Milano-Bicocca, ha dimostrato che il nostro cervello applica la percezione tattile del corpo ad un oggetto, come un’estensione del corpo.
L’esperimento apre nuove strade per la realizzazione di protesi sempre più precise, in grado di adattarsi al corpo. È stato infatti dimostrato che a riconoscere l’esatta posizione degli impatti sul bastone riesce anche una persona priva di sensibilità propriocettiva ad un braccio, confermando così che gli impatti sullo strumento sono codificati solo attraverso la modalità tattile.
«Questi risultati – commenta Nadia Bolognini, docente di Psicobiologia e psicologia fisiologica di Milano-Bicocca e coautrice dello studio – suggeriscono che sarà possibile, in un futuro non troppo lontano, progettare neuro-protesi sempre meno invasive e performanti generando in esse segnali tattili che forniscono risposte ottimali nel contatto con gli oggetti. Ciò potrebbe essere realizzato sfruttando il meccanismo identificato nel nostro studio, che permetterà al paziente di localizzare stimoli tattili su una protesi in modo naturale e facilitando così l’uso della protesi come se fosse un vero e proprio organo sensoriale esteso».
Fonte: Ufficio Stampa Università di Milano-Bicocca