Sono pronti i primi mini-cervelli umani prodotti in serie per studiare in laboratorio molte malattie neurologiche, come l’autismo e la schizofrenia: ottenuti a partire da cellule staminali, crescono in provetta riproducendo lo sviluppo della corteccia cerebrale e in futuro potranno essere usati anche per testare nuove terapie.
Il risultato, che promette di accelerare la ricerca nel campo delle neuroscienze, è pubblicato sulla rivista Nature dai ricercatori dell’università di Harvard guidati dalla biologa italiana Paola Arlotta.
“Ciascuno di noi può usare il cervello in maniera diversa, ma tutti abbiamo gli stessi tipi di cellule e le stesse connessioni di base”, spiega Arlotta.
Finora questa uniformità non veniva correttamente riprodotta negli organoidi che simulano in provetta il cervello umano: “ciascun organoide era unico e si sviluppava con il suo mix di tipi cellulari in un modo imprevedibile. Noi abbiamo risolto il problema”, sottolinea la biologa.
La sua equipe ha infatti messo a punto un protocollo per creare organoidi che sono indistinguibili l’uno dall’altro e di pari qualità, anche quando vengono cresciuti in laboratorio per più di sei mesi. Coltivati in specifiche condizioni, i mini-cervelli sono sani e capaci di svilupparsi abbastanza a lungo da generare un ampio spettro di tipi cellulari, proprio come accade naturalmente durante lo sviluppo della corteccia cerebrale. Questo significa che gli organoidi prodotti ‘in serie’ potranno essere usati come uno strumento standardizzato per studiare le malattie e la loro risposta ai farmaci ottenendo risultati facilmente confrontabili.
“Abbiamo prodotto gli organoidi partendo da diverse linee di cellule staminali, sia di origine maschile che femminile”, aggiunge la prima autrice dello studio, Silvia Velasco. “Nonostante il diverso background genetico, si sono sviluppati gli stessi tipi cellulari nello stesso modo, nell’ordine giusto e, cosa più importante, in ciascun organoide”. Ora diventa possibile “comparare gli organoidi di controllo con quelli creati con specifiche mutazioni genetiche legate alle malattie”, prosegue Arlotta.
“Questo ci darà più certezze sulle differenze davvero significative, sulle cellule colpite e sui meccanismi molecolari alterati. Gli organoidi riproducibili ci consentiranno di muoverci più rapidamente verso interventi concreti, perché ci indirizzeranno su specifiche caratteristiche genetiche che causano la malattia. Nel futuro saremo in grado di porci domande sempre più precise riguardo a ciò che va storto nelle malattie psichiatriche”.
Fonte: Ansa