L’efficacia antibatterica dell’argento (Ag) è nota da tempo, ma solo recentemente si è scoperto che tale capacità può aumentare se l’argento si trova in forma di nanoparticelle, che sono aggregati atomici o molecolari che hanno un diametro compreso tra 1 e 100 nm (nanometri – un nm è pari a un miliardesimo di metro)
L’utilizzo di nanoparticelle d’argento (AgNPs) potrebbe quindi essere una possibile alternativa al trattamento antibiotico negli allevamenti.
Tuttavia questo potenziale e promettente uso è ancora all’inizio: finora ne sono stati studiati gli effetti sul metabolismo, ma non il rischio di accumulo nei tessuti o in eventuali alimenti derivanti da animali trattati con nanoparticelle d’argento. In quest’ultimo caso, non si conosce ancora quale potrebbe essere l’esposizione del consumatore a tali nanomateriali.
Un gruppo di ricercatori dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) ha eseguito uno studio sperimentale per verificare se il trattamento prolungato (22 giorni) di galline ovaiole con nanoparticelle di argento (AgNPs-PVP) di diametro medio 20 nm (6 dosi da 1 mg kg-1 di Ag totale) potesse tradursi in un accumulo di argento e di nanoparticelle nei diversi organi (muscolo, fegato, rene) e nelle uova degli animali trattati.
Per l’analisi dei campioni sono state impiegate diverse tecniche analitiche:
- la spettrometria di assorbimento atomico (AAS) per la quantificazione dell’argento totale;
- la microscopia elettronica (SEM-EDX) e l’innovativa tecnica single particle inductively coupled plasma (spICP-MS) per evidenziare la presenza delle nanoparticelle.
Le analisi hanno evidenziato l’assenza di argento nelle matrici degli animali del gruppo di controllo (non trattato) e la presenza di argento nei fegati (n= 10) e nei tuorli (n=18) degli animali trattati, con una concentrazione media rispettivamente di 228 e 30 µg kg-1. L’impiego della tecnica spICP-MS ha evidenziato che parte dell’argento riscontrato nel fegato (5-20%) degli animali trattati si trova sotto forma di nanoparticelle di dimensione simile a quelle somministrate. L’analisi SEM-EDX ha confermato la presenza di nanoparticelle nei fegati degli animali trattati. Pertanto, nel trattamento di un organismo con nanoparticelle non si deve escludere la possibilità del bioaccumulo nei tessuti e/o nei prodotti, alla quale dovrebbe essere associata una valutazione del rischio di esposizione da parte del consumatore.
Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Journal of Agricoltural and Food Chemistry, ha inoltre messo in evidenza che – a differenza degli approcci analitici classici che non sono in grado di fornire un’adeguata caratterizzazione e rivelazione di nanoparticelle in matrici complesse come gli alimenti – l’adozione della tecnica spICP/MS rende possibile la raccolta di informazioni accurate sui livelli di trasferibilità delle stesse.
Fonte: izsvenezie