L’obesità può essere interpretata come una forma di dipendenza dal cibo?
Secondo uno studio condotto dai ricercatori dell’Università di Milano-Bicocca, negli individui obesi le regioni del cervello legate alla ricompensa presentano una risposta aumentata anche di fronte a stimoli puramente visivi e in condizioni di sazietà.
Quali teorie possono spiegare meglio determinati comportamenti alimentari, quelle fondate su un eccesso di ricompensa, un deficit di ricompensa o un’esagerata sensibilizzazione agli stimoli visivi relativi ai cibi? Cosa cambia fra le risposte cerebrali degli individui obesi e quelle dei soggetti normopeso? È stato dimostrato che i soggetti obesi mostrano una responsività particolarmente accentuata delle regioni del cervello coinvolte nell’elaborazione del gusto e nei meccanismi di ricompensa per gli stimoli legati al cibo. Coerentemente con un’ipotesi che postula l’esistenza di un eccesso di ricompensa per il cibo (Reward surfeit hypothesis) i soggetti obesi mostrano una iper-responsività della regione cerebrale chiamata “striato ventrale” al gusto, in particolare a digiuno. Gli studiosi hanno inoltre evidenziato che gli obesi mostrano un’attivazione dello striato ventrale e dorsale più frequente di fronte agli stimoli visivi legati al cibo anche quando sono sazi: questa elaborazione continua all’interno del sistema di ricompensa è compatibile con la teoria della sensibilizzazione agli incentivi (Incentive sensitization theory).
Non sono state trovate invece prove chiare a favore dell’ipotesi che postula che un eccesso di assunzione di cibo sia dovuta ad un deficit di ricompensa da parte del cibo stesso (Reward deficit hypothesis), ipotesi secondo la quale i soggetti obesi mangerebbero troppo perché non si sentirebbero mai sazi. Meno chiaro, per la limitatezza dei dati oggi a disposizione, se nel quadro possa entrare anche un deficit sistematico del controllo cognitivo inibitorio, necessario per controllare gli impulsi che spingono verso un consumo eccessivo di cibi. I risultati hanno quindi portato i ricercatori a ritenere che i dati disponibili sull’attivazione cerebrale, in relazione all’assunzione sregolata di cibo e ai comportamenti alimentari correlati all’obesità cronica, possano essere meglio inquadrati all’interno di una teoria della sensibilizzazione agli incentivi, ovvero agli stimoli contestuali, visivi ed evocativi.
La ricerca consiste in una rassegna meta-analitica di studi sull’attivazione del cervello in rapporto all’appetito e alla percezione del cibo negli individui obesi. La disregolazione nell’assunzione di cibi è stata spiegata in precedenza facendo ricorso a diverse teorie e per valutare la loro capacità esplicativa i ricercatori hanno analizzato 22 studi di neuroimaging sull’attivazione cerebrale. Questa meta-analisi è stata realizzata mediante un software accademico libero sviluppato all’Università di Milano-Bicocca, “CluB”(Cluster in the Brain), e si basa sull’analisi nella letteratura scientifica di studi pertinenti che sono stati poi separati in gruppi (clusters) e riordinati costruendo gerarchie e specifiche inferenze statistiche. L’approccio meta-analitico trova la sua motivazione nell’osservazione di vari fenomeni che non possono essere testati con un singolo esperimento, dal momento che le variabili da considerare sono numerose: in questo caso sono stati incrociati dati che riguardano la visione e la degustazione del cibo in soggetti obesi e normopeso, in condizioni di sazietà e digiuno.
Quali sono le implicazioni per le terapie e la salute? Innanzitutto, alla luce dei dati utilizzati è possibile notare varie similitudini con i modelli sviluppati per l’analisi della tossicodipendenza e di altre dipendenze patologiche (addiction). È molto difficile vincere o disincentivare comportamenti alimentari sregolati, così come risulta spesso problematico per molte persone obese sia entrare che restare in un regime di dieta. Come nella riabilitazione da ogni forma patologica di dipendenza, infine, la sensibilizzazione a stimoli contestuali come quelli visivi risulta particolarmente ostica da sradicare, con la principale differenza rispetto alle droghe che allontanarsi del tutto dal cibo è impossibile, anche se è sempre possibile scegliere il tipo dei cibi consumati.
Secondo gli autori di questo studio, la strategia migliore consiste nell’affiancare approcci diversi per contrastare l’eccessiva sensibilizzazione agli stimoli contestuali e l’aumentata gratificazione neurale in presenza di cibo, enfatizzando soprattutto la terapia comportamentale e di gruppo, in grado fra l’altro di generare forme di ricompensa differenti come l’approvazione sociale, ad esempio quando si raggiungono determinati obiettivi in rapporto al controllo del peso e al miglioramento della dieta.
Lo studio pubblicato sulla rivista “Neuroscience and Biobehavioral Reviews” è frutto della collaborazione fra Università di Milano-Bicocca, IRCSS Istituto Ortopedico Galeazzi, IRCCS Policlinico San Donato e Università di Urbino “Carlo Bo” (F. Devoto, L. Zapparoli, R. Bonandrini, M. Berlingeri, A. Ferrulli, L. Luzi, G. Banfi, E. Paulesu, Hungry brains: a meta-analytical review of brain activation imaging studies on food perception and appetite in obese individuals). «Fa piacere notare che il merito principale dello studio è di un giovane ricercatore, il dottor Francantonio Devoto – aggiunge Eraldo Paulesu, professore di Psicologia fisiologica all’Università di Milano-Bicocca – dottorando di ricerca del nostro corso di Dottorato in Neuroscienze».
Fonte: Università Bicocca