Una ricerca sperimentale ha messo a punto un pacemaker completamente impiantabile e realizzato con materiali biodegradabili, capace di dissolversi per via metabolica.
Quando le persone hanno bisogno di un pacemaker temporaneo utile giusto per il tempo necessario, ad esempio, a normalizzare la frequenza cardiaca dopo un infarto o un intervento chirurgico al cuore, il dispositivo va rimosso con un ulteriore piccolo intervento. Inoltre, queste tipologie di peacemaker utilizzano per funzionare una fonte di alimentazione esterna al corpo, collegata da fili che rimangono in posizione da tre a sette giorni e rappresentano spesso una causa di complicazioni.
I potenziali problemi riscontrati includono l’infezione dai fili che attraversano la pelle, la formazione di tessuto cicatriziale e danni al tessuto cardiaco causati dall’impianto o dalla rimozione. Inoltre nel post operatorio i movimenti del paziente possono aumentare il rischio di trombosi venosa o polmoniti. Un gruppo di ricerca statunitense ha lavorato su queste problematiche sviluppando da prima un pacemaker autoalimentato, che utilizza i battiti cardiaci come energia, e più di recente il primo pacemaker biodegradabile.
Il dispositivo, descritto su Nature Biotechnology, più piccolo e meno invasivo rispetto alle soluzioni tradizionali, funziona senza cavi o batterie e viene riassorbito dall’organismo dopo qualche settimana. L’intero sistema è piccolo e sottile (1,6 cm x 1,5 cm) e lo spessore è di soli 250 μm (ovvero 0,25 mm). Questo peacemaker contiene solo materiali biodegradabili, come metalli e composti organici – magnesio, PGLA e una nanomembrana di silicone. Una volta finito il periodo di trattamento non c’è bisogno di alcun intervento di rimozione poiché viene naturalmente biodegradato per via metabolica e riassorbito dall’organismo, senza lasciare traccia. Inoltre è alimentato da un’antenna che si trova all’esterno del corpo e funziona interamente grazie al trasferimento di energia via wireless, quindi può essere controllato dall’esterno senza bisogno di fili o batterie. La durata è flessibile: dipende dai materiali utilizzati e può essere modificata in base alle esigenze di ogni paziente.
I ricercatori dell’Università Northwestern di Chicago e dell’Università George Washington che lo hanno ideato hanno testato il sistema su cellule cardiache umane in vitro e su diversi modelli animali (topi, ratti, conigli e cani). I risultati dei test sono stati molto buoni: il pacemaker è riuscito a mantenere il ritmo cardiaco nella normalità in tutti i modelli, senza causare infiammazione o alterazioni a carico del tessuto cardiaco o di altri organi. Il dispositivo viene riassorbito per la maggior parte nell’arco di 3 settimane dall’impianto e dopo 12 settimane scompaiono anche gli ultimi residui.
Le applicazioni, scrivono i ricercatori, potrebbero riguardare diverse categorie di persone, come quelle affette da blocco atrio-ventricolare dovuto a miocardite o da fibrillazione atriale dovuta a un’operazione al cuore. Con diversi benefici per la qualità di vita dei pazienti, che potrebbero recuperare la funzionalità cardiaca nel post-operatorio senza i rischi delle complicanze dati dagli apparecchi tradizionali.